Sylvia Plath, tra poesia e tragedia








Monologo delle 3 del mattino
È meglio che ogni fibra si spezzi
e vinca la furia,
e il sangue vivo inzuppi
divano, tappeto, pavimento
e l’almanacco decorato con serpenti
testimone che tu sei
a un milione di verdi contee da qui,
che sedere muti, con questi spasmi
sotto stelle pungenti,
maledicendo, l’occhio sbarrato
annerendo il momento
che gli addii vennero detti, e si lasciarono partire i treni,
ed io, gran magnanimo imbecille, così strappato
dal mio solo regno.
Su distese immense di pagine bianche, le parole di Sylvia Plath riecheggiano dolci e nette. L’inchiostro, che le intrappola, sono la difesa e l’attacco di una ragazza americana, morta suicida a soli trentuno anni, forse sopraffatta da un’anima troppo fragile intrappolata in un corpo incapace di tollerarla.
Sylvia Plath con il suo immortale sorriso, costellato da svariati eventi, quali, la precoce morte del padre, la laurea in uno dei più importanti college femminile degli Stati Uniti e in particolar modo, le depressioni che spesso e volentieri la condussero al tentativo di suicidio. Un altro tassello importante della vita della poetessa statunitense fu l’amore spassionato per lo scrittore Ted Hughes, col quale darà alla luce due figli, Frieda e Nicholas, che non le facilitarono la dedizione totale alla poesia.

Il lettore che si affaccia alla poetica contraddittoria e devastante della Plath, non deve quindi aspettarsi una composizione abitudinaria e felice, d’altronde, come afferma Robert Lowell, le parole della poetessa statunitense «giocano alla roulette russa con sei pallottole nella pistola». Questa comparazione riflette pienamente il periodo in cui avviene la tragica morte della poetessa: lei, con un matrimonio andato in frantumi e una maternità troppo pesante da gestire, decide di farla finita, suicidandosi.
Quello che ci rimane di lei sono lettere disperate, una raccolta di poesie, The Colossus e altre poesie e il romanzo sconvolgente semi-autobiografico, La campana di vetro.
Semi di inchiostro nero seminati tra i più disparati scaffali di biblioteche, in ricordo di un’anima sì fragile, ma così forte da non rimanere dimenticata.

Antonella Buttazzo

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