Roberto Buttazzo, l’artista con l’idea fissa a Lecce
Dostoevskij
ne “L’Idiota” ci parla di una
bellezza che salverà il mondo.
Sono stata sempre attratta dalla bellezza, una
bellezza che sa emozionarmi ogni volta che, giorno dopo giorno, incontrando
opere d’arte, mi ha condotta a studiarne ogni sua forma espressiva.
Il
richiamo della bellezza mi ha recentemente portata all’ex Convitto Palmieri di
Lecce a visitare la mostra antologica di Roberto Buttazzo, promossa dalla
Regione Puglia “Idée Fixe”, articolata
in undici sezioni cronologiche, precedute da altrettanti autoritratti.
L’esposizione,
sottolinea quanto l’arte sia stata presente nella sua vita, fondendosi con il
quotidiano.
La mostra ovviamente è stata anche un pretesto per
conoscere meglio l’autore, che ho incontrato e intervistato.
Quand’è che Roberto Buttazzo ha
iniziato a percepire se stesso come artista?
«Fu mia madre a scoprire che ero posseduto dal germe
dell’arte, quando si accorse quanto erano per me più importanti, matite e fogli
da disegno, da preferirli a un mese di vacanze al mare. Avevo 4 o 5 anni e quel
materiale per belle arti, all’epoca (anni ’50), era reperibile solo in città.
Mi nascosi sotto al lavandino, rifiutandomi di partire con la famiglia, fino a
quando mio padre decise di dirigersi a Lecce per comprare l’occorrente, che
mise fine alla mia sofferenza».
L’esposizione
è un modo per celebrare i cinquant’anni di carriera dell’autore lequilese. Sorge
a questo punto, una domanda spontanea: c’è
un aneddoto particolare che ricorda circa la realizzazione di una delle sue opere?
«Nel
corso della mia attività artistica, gli attestati di stima e accoglienza nei
confronti delle mie opere non sono mancati. Lo prova questa mostra antologica
di Lecce “Idée Fixe”, promossa dalla
Regione Puglia e le varie opere collocate in musei e spazi pubblici del nostro
territorio. Non un aneddoto, ma una vicenda della quale farei volentieri a meno
di parlare, ma che ti racconto, sperando che il vostro blog “ L’altra faccia del Rosa” la faccia
diventare megafono di VERITA’ per i cittadini lequilesi, riguarda le tre Pale
d’Altare sulle storie di San Vito.
Opere
commissionate dal Comune di Lequile nel 2005, con lo scopo di riempire gli
spazi vuoti del presbiterio della Chiesa Matrice e non ancora collocate.
Rappresentano tre episodi della vita del nostro Santo Patrono: “Traslazione delle reliquie, San Vito che
incontra la comunità cittadina e Il miracolo del terremoto”.
La
prima è collocata nella sacrestia della Chiesa, le altre due sono ancora a casa
mia; evidentemente misteriose dinamiche, tengono lontane le opere dal luogo
sacro a cui erano destinate».
Potremmo dunque dire che la realtà
in cui lavora un artista, non è così libera come pensiamo?
«Quando
si realizzano opere a carattere religioso, bisogna seguire le regole legate
alla storia sacra e tenere presente la destinazione chiesastica nel luogo di
culto, e le storie di San Vito rispettano pienamente questi canoni.
La
mia libertà espressiva non ha subito alcun condizionamento in quanto, lo stile
pittorico che mi contraddistingue, si basa sulla conoscenza e la padronanza
delle tecniche classiche e sulle regole compositive proprie dell’arte sacra. Ne
sono testimonianza il “Cenacolo” di
Tricase, “Il sogno di Giuseppe” e “Giuseppe falegname” nella Chiesa di San
Giuseppe Patriarca a Copertino, “Sant’Egidio
da Taranto” nel Convento di Lequile e “Sant’Elena”
nella Chiesa Madre di Taviano. Tutte queste opere sono state accolte e apprezzate
dai committenti e dai fedeli.Gli episodi sono stati recensiti dal prof. Lucio Galante,
storico dell’arte e supportate dal parroco del tempo don Luciano Forcignanò,
prezioso consulente e consigliere di suggerimenti iconografici.
La mia amarezza è vedere gli episodi della vita di
San Vito, che ho dipinto con l’animo gonfio di gioia e devozione per il nostro
Santo Patrono, non svolgere la loro funzione catechetica, privando i fedeli della
bellezza estetica e della valenza spirituale».
Confrontandomi
con l’artista Roberto Buttazzo ho realizzato come si possa arrivare a qualcosa
di diverso, di unico, di rappresentativo ed insieme suggestivo ed identitario. Perché
allora, non rendere fruibili queste altre due opere alla popolazione, in questo
caso lequilese, agli studiosi, a chi dell’arte ne fa ragione di vita? Perché
non dare un’opportunità divulgativa valorizzando i tesori che possediamo?
Dovremmo
risvegliare le nostre coscienze, educare alla bellezza autentica dove
l’emozione si coniuga con la ragione, riaffermare la nostra identità, non
possiamo assistere inermi a visioni distorte e marginali dell’arte, declassata
a un qualcosa di puramente decorativo.
Ma per fare ciò serve una visione concreta, una
coscienza concreta, vedere la bellezza come quell’idea fissa citata da Roberto
Buttazzo nel titolo della sua ultima rassegna.
Antonella Buttazzo
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